Archivi del giorno: agosto 26, 2009

I cristiani possono salvare l’Islam dalla morte culturale.

Più di 70 personalità, da venti diversi Paesi, si sono radunati presso l’isola di san Giorgio a Venezia per l’annuale incontro del Comitato scientifico della rivista Oasis, fondata dal patriarca Angelo Scola per costruire “luoghi comuni” di dialogo fra cristiani e musulmani.

Il raduno di quest’anno, il 22 e il 23 giugno, ha avuto come tema “Interpretare le tradizioni al tempo del meticciato”. Il termine “meticciato”, caro al card. Scola, sottolinea il modo in cui le culture e le religioni dialogano fra loro paragonandosi, copiandosi, integrandosi e scontrandosi, ma in ogni caso facendosi cambiare dall’incontro con l’altro.

Il tema di quest’anno, sulla tradizione ha messo in luce l’importanza della trasmissione della fede e della propria cultura in un mondo sempre più multiculturale. Un aspetto molto importante è la trasmissione della propria tradizione da parte degli emigranti (v. musulmani in occidente) o vivendo in situazione di minoranza (v. cristiani in Medio Oriente). Tutti i relatori – anche alcune personalità islamiche da Francia, Tunisia, Stati Uniti – hanno sottolineato l’importanza delle scuole come ambito di trasmissione e di confronto culturale.
Fra gli interventi più rilevanti vi è stato quello che ha fatto notare la difficoltà dell’islam contemporaneo diviso fra una sclerotizzazione del passato – riproposto come “vero” Islam dall’estremismo musulmano – e le difficoltà di affrontare tutti i temi della modernità. Tale difficoltà è vissuta in parte anche dai cristiani, dato che la modernità è portatrice anche di secolarismo e rifiuto della fede. Ma la tradizione cristiana è in dialogo con il mondo moderno da più tempo e per questo può aiutare l’Islam a paragonarsi con la società contemporanea, disinnescando il pericolo dell’estremismo, che celebra solo “il seppellimento dell’islam”.

1. Tradizione è continuità, identità, rinnovamento

Tradizione (tradere) significa trasmettere un prezioso deposito, perché esso sia a sua volta ritrasmesso ad altri. La tradizione suppone quindi una continuità in vista dell’oggi. Essa non può essere un cammino all’indietro, ma cerca di ritrovare nelle sue proprie radici l’ispirazione per garantire la continuità. Rafforzare l’identità e rinnovare il presente: continuità, identità, rinnovamento.
Se la tradizione si identifica con il passato e cessa di ispirare il presente, allora essa muore. La si sacralizza perché essa non esiste più: è un modo di seppellirla, perché non la si comprende più.
Le nostre società arabe e musulmane si trovano spesso in questa situazione: non abbiamo più avvenire e nemmeno un presente. Non ci resta che il passato. Torniamo al passato per mitizzarlo e sacralizzarlo perché non abbiamo nient’altro.
In tal modo, in realtà noi rafforziamo la nostra morte culturale e spirituale. Nel mondo musulmano attuale, il concetto di tradizione suggerisce in pratica un ritorno agli usi del 7° secolo, che vengono sacralizzati. Ci si ferma agli aspetti esteriori: la barba, il velo o il niqab, il miswak (una specie di lungo stuzzicadenti, preso da una radice usata dal profeta dell’islam), la lunga tunica bianca, ecc…
Al contrario i cristiani (soprattutto nel mondo occidentale) tendono a rifiutare la tradizione. Alcuni pensano che per essere moderni bisogna dimenticare il passato, rifiutarlo. Il rischio è di perdere le proprie radici e l’autenticità: è il pericolo che io constato in Europa. Questa situazione può spingere alcuni a divenire tradizionalisti, a barricarsi su alcuni dettagli (per esempio il latino della messa, la veste, ecc…). Lo sviluppo degli adepti di mons. Lefebvre è parallelo allo sviluppo del rifiuto della tradizione.
La questione non è dunque solo propria al mondo musulmano, anche se oggi essa è più visibile e più vissuta nel mondo musulmano.

2. La paura della modernità che appare anti-religiosa

Una causa evidente di questo atteggiamento è anche la paura della modernità. È quanto si contata nel mondo arabo. La modernità di oggi proviene dall’occidente; nel 9° -11° secolo proveniva dal mondo musulmano.
Oggi l’occidente fa paura e repulsione a causa del suo allontanamento dalla religione e della diffusa secolarizzazione. Di colpo la modernità appare a molti musulmani come una nuova Jâhiliyyah (ignoranza, termine usato nel Corano per i miscredenti), che il Corano e il profeta dell’islam combattono con veemenza. La modernità è un neo-paganesimo.
Di conseguenza, molti musulmani si rifugiano nel passato e nella religione che ad essi appare come capace di offrire valori sicuri e durevoli e comportamenti sicuri. In questo modo a tutt’oggi si è sacralizzato il periodo dei primi quattro califfi (i successori di Maometto), che vengono definiti i “califfi ben guidati” (al-khulafâ’ al-râshidîn) : Abū Bakr il giusto (al-Siddîq) (632-634), ‘Umar Ibn al-Khattâb (634-644), ‘Uthman Ibn ‘Affân (644-656) e ‘Ali Ibn Abî Tâlib (656-661). Questo periodo (dal 632 al 661) è una specie di epoca paradisiaca.
Ciò rappresenta un grave pericolo perchè il paradiso, il modello da imitare e riprodurre, è allora dietro di noi, e non davanti a noi, verso il quale noi tendiamo.
Da notare che, eccetto il primo califfo, gli altri tre sono tutti morti assassinati. ‘Umar è morto assassinato il 4 novembre 644; ‘Uthman nel 656, ‘Ali nel gennaio 661 per mano dei Kharigiti.
Se vogliamo rinnovare l’islam, occorre accettare la sfida che il mondo moderno lancia a tutte le religioni: ebraismo, cristianesimo, islam e le altre. Il cristianesimo (soprattutto in occidente) deve affrontare ogni giorno questa situazione: se si ripiega sul passato, morirà. È lo stesso per l’islam. Più di frequente il mondo musulmano preferisce rinviare il problema a più tardi e questo rende solo più difficile la soluzione.
D’altra parte, non si tratta di adottare ogni novità senza discernimento, solo perché esse sono novità. Il discernimento si impone ed è la condizione per la sopravvivenza.

3. Conclusione

Si tratta di trovare un’armonia fra il passato e il futuro, le tradizioni (che possono ispirare, ma non incatenare) e la modernità (che non è necessariamente simbolo di libertà, né di liberazione).
L’islam ha cominciato a realizzare questa armonia e questo discernimento alla fine del 19° secolo e all’inizio del 20°. Esso si è rinnovato dall’interno confrontandosi con la civiltà e la cultura occidentali, facendosi aiutare in abbondanza dai cristiani arabi che avevano già iniziato questo movimento prima di loro.
Purtroppo, a metà del secolo scorso, questo movimento si è arrestato, trascinato dalle nuove ideologie (nazionalismo, socialismo, pan-arabismo) e ha cominciato a regredire.
Io penso che il cristianesimo, che ha affrontato questa situazione già da qualche secolo, potrebbe aiutare il mondo musulmano a compiere questo discernimento. Ad ogni modo, ciò non può essere fatto che dai musulmani, partendo dalla loro tradizione per criticarla e per trattenere il meglio.
Cristiani e musulmani (e gli altri credenti) siamo messi davanti a sfide comuni. Una collaborazione fra di noi, senza opposizione a nessuno, sarebbe di beneficio per chiunque.
La tradizione deve essere fonte di vita, altrimenti significa che essa è morta. Da qui viene la necessità della critica e del discernimento, per arrivare all’armonia e alla vera libertà.

Autore: Samir Khalil Samir .

Rottura tra Siria ed Iraq: ritirati i rispettivi ambasciatori.

Crisi diplomatica tra Iraq e Siria che ritirano i rispettivi ambasciatori. Baghdad accusa Damasco di ospitare terroristi implicati negli attentati del 19 agosto ai ministeri degli Esteri e delle Finanze nella capitale irachena. Gli attentati fra i più violenti in questi ultimi anni, che hanno causato 95 morti e più di 500 feriti.

Il governo guidato dal premier Nuri al Maliki ha chiesto a Damasco di estradare due iracheni “direttamente collegati” agli attentati: Mohammed Yunis al-Ahmed e Sattam Farhan. I due vivono in Siria e sono esponenti di spicco dell’ex partito Ba’ath. Farhan è stato citato in tv come mandante delle bombe da un ex poliziotto iracheno, coinvolto nell’attentato al Ministero delle finanze.

Ali al-Dabbagh, portavoce del governo iracheno, dando l’annuncio del rientro in patria dell’ambasciatore di Baghdad ha chiesto alla Siria di consegnare pure “tutte le persone ricercate per crimini di omicidio e distruzione commessi contro il popolo iracheno” ed espellere “le organizzazioni terroristiche che usano la Siria come quartier generale e rampa di lancio per pianificare operazioni terroristiche contro il popolo iracheno”.

Le affermazioni di Baghdad e la decisione di richiamare l’ambasciatore hanno suscitato la pronta reazione di Damasco che ha subito ritirato il suo inviato. Tramite un comunicato affidato all’agenzia di stato Sana, il governo di Bashar Assad respinge ogni accusa di coinvolgimento nelle bombe del 19 e di protezione a terroristi implicati negli attentati in Iraq.

La rottura tra i due Paesi arabi, per ora temporanea, giunge a poco meno di tre anni dalla ripresa dei rapporti diplomatici avvenuta nel 2006, dopo 20 anni di gelo.

Fonte: AsiaNews.

Giovani scienziati e fede: un dialogo obbligato per il futuro dell’India.

Ci sono diversi spunti e diverse sfide che la scienza offre alla Chiesa. Nella realtà dell’India questo significa confrontarsi con nuove prove, nuove risposte e nuovi metodi di approccio poiché la società non è solo multi-religiosa, ma anche multi-culturale. È decisivo essere coscienti di questo fatto per rispondere alle nuove scoperte e ai nuovi successi della ricerca scientifica. C’è bisogno infatti di promuovere una ricerca interdisciplinare in cui scienza e fede convivano assieme interrogandosi a vicenda.

Ciò che preoccupa di più è l’idea ormai diffusa di ricerca scientifica. Uno dei maggiori problemi di oggi è che nel mondo le regole sono dettate da principi economici e non etici. In quest’ottica i rapidi cambiamenti che stiamo vivendo possono arrivare a minacciare la stessa vita umana, basta pensare all’utilizzo delle cellule staminali ed alla ricerca nel settore che è sostenuta e favorita da mere ragioni economiche. Istituzioni e aziende che investono in questo campo vogliono risultati immediati e a basso costo. Per questo spingono perché si proceda nella ricerca sulle staminali embrionali invece che sulle cellule adulte che comportano costi più alti, maggiori difficoltà e più verifiche.

Dobbiamo creare una nuova cultura che scalzi questa dittatura dei principi economici. Dobbiamo tornare a pensare secondo principi etici e non di mero profitto. Molte scoperte sono utili e rispondono a veri bisogni, il problema è che, per motivi economici, finiscono per essere utilizzate in modo distorto. Questo genera un meccanismo sviato che porta alla distruzione della vita, quella stessa vita che le stesse scoperte vogliono salvare.

La riconciliazione tra scienza e fede è un punto saldo del’insegnamento del Papa. Benedetto XVI è cosciente che l’unica strada per compiere questo dialogo si basa sul riconoscimento della verità assoluta. La scienza copre solo un aspetto della nostra conoscenza. La nostra vita è molto più complicata di quanto le sole teorie scientifiche possano spiegare . Essa infatti rimane sempre in qualche modo un mistero. La scienza non indaga la dimensione trascendente dell’esistenza e per questo è un errore credere che essa possa fornire la spiegazione esaustiva della vita e dell’uomo.

Per conoscere la realtà abbiamo diverse strade aperte davanti a noi: la scienza è una, ma ci sono anche la teologia e la filosofia. Molte conoscenze ci vengono dall’arte, dalla poesia, dall’estetica. Ci sono cose che non possono essere espresse da formule matematiche eppure sono reali e noi le percepiamo come tali.

Prendiamo le domande sul senso della vita, su cosa essa sia, come si sviluppa, quale sia l’origine dell’uomo; oppure guardiamo al nostro cervello, un meccanismo sofisticato in gran parte ancora inesplorato, e alla domanda sulla relazione che esso ha con la dimensione spirituale dell’esistenza. Tutti questi interrogativi sono vivi ancora oggi nonostante i passi compiuti dal progresso tecnologico e scientifico.

La scienza prova a spiegare questi interrogativi come fenomeni, usando un certo tipo di linguaggio e un certo metodo di ricerca; la teologia invece cerca di rispondere alle stesse domande con una visione in cui è riconosciuto un posto per Dio, in cui è data la possibilità di un significato dell’esistenza e di un valore della vita. Quando questo non avviene teologia e filosofia risultano inutili all’uomo, ed è per questo che oggi molte persone credono che la scienza spieghi molte più cose della vita di quanto non faccia per esempio la teologia.

C’è il rischio che i giovani in India, come nel resto del mondo, si impegnino nella ricerca scientifica e nello sviluppo tecnologico facendoli diventare un credo che sostituisce la fede.

Abbiamo bisogno di investire in giovani scienziati. Dobbiamo creare l’opportunità per i giovani cattolici che sono interessati a intraprendere l’avventura della ricerca scientifica. Abbiamo bisogno di giovani che guardino alla scienza attraverso gli occhi della fede. È ormai diffusa l’idea che fede e scienza siano contrapposte e inconciliabili. Tanti scienziati non credono in Dio. Molti credono che più conosciamo i fenomeni naturali meno abbiamo bisogno di spiegazioni teologiche. Ma ci cono molti problemi essenziali a cui la scienza non può rispondere, molti interrogativi a cui la tecnologia replica offrendo marchingegni di vario tipo che non sono però capaci di risolvere il tema della fede.

Abbiamo bisogno di affrontare in modo molto serio il concetto di sviluppo tecnologico ed i successi scientifici da un punto di vista teologico. Dobbiamo capire cosa sia davvero la realtà. Essa non può essere divisa in due dimensioni, religiosa e scientifica, che non dialogano e interagiscono tra loro. Scienza e fede sono complementari. La prima può offrire molte nuove intuizioni alla riflessione teologica e filosofica così come queste ultime possono aiutare la scienza ad essere molto più umana.

Autore: Tomasz Trafny .