“Sorelle, aiutate la jihad!”

L’hanno tirata per la giacchetta, anzi per il burqa, ma alla fine Omaimah Hassan ha deciso di comportarsi da moglie fedele e schierarsi al fianco del biasimato Ayman Zawahiri.
Ci sono voluti due anni, ma Omaimah adesso scende in campo, fa quadrato intorno al numero due di Al Qaida amato e rispettato dal capo Osama Bin Laden, ma detestato da tante erinni velate.
La ragione di tanto risentimento risale ancora al botta e risposta di due anni fa quando un sito di Al Qaida raccolse dubbi e curiosità dei militanti per sottoporle al giudizio di papà Ayman. Le risposte arrivarono nell’aprile del 2008 e per le amazzoni in hijab, per le terroriste tutte bombe e velo fu delusione cocente. «Per voi in Al Qaida non c’è posto… non abbiamo e non vogliamo donne tra i nostri ranghi» – rispose inflessibile il vicecapo. Dopo quel niet le grandi escluse sfogarono la frustrazione con una mitragliata di lettere indirizzate ai vertici dell’organizzazione.
Ora in quel ring infuocato ci si butta pure la signora Zawahiri uscendo dall’anonimato e sottoscrivendo le esortazioni del marito. «Non impegnatevi direttamente nel jihad, aiutate gli uomini che combattono», raccomanda la fedele Omaimah pubblicando su al-Sahab Media, il sito internet ufficiale di Al Qaida, un «messaggio alle sorelle musulmane».
La discesa in campo della signora Zawahiri fino ad oggi ombra nera e muta del marito è quasi un coro di famiglia.
Mentre la moglie scrive alle donne musulmane una lettera lunga cinque cartelle il marito ricorre a uno dei suoi consueti sermoni audio.
Nel nuovo discorso Al Zawahiri liquida la politica mediorientale del presidente Obama e la definisce un «nuovo atto nella campagna crociata e sionista finalizzata ad asservirci, ad umiliarci, a occupare le nostre terre e a privarci delle nostre ricchezze».
Omaimah però gli ruba decisamente la scena.
Le consuete e scontate accuse del marito sono poca cosa rispetto ai curiosi riferimenti e ai meta-messaggi annidati nel primo discorso della moglie. A partire dalla seconda parte della missiva tutta incentrata su un invito alla resistenza passiva indirizzato alle immigrate musulmane.
Le «sorelle musulmane in occidente» devono guardarsi bene da tutte le tentazioni ad abbandonare l’hijab perché – spiega Omaimah – «i blasfemi criminali occidentali prima ti tolgono il velo e poi cancellano la tua sembianza musulmana riducendoti ad una merce di scambio».
E subito dopo la signora Al Zawahiri non esita ad esibirsi in un «Resistere, resistere, resistere» che fa tanto Procura di Milano, ma è invece un tentativo di compattare il movimento femminile musulmano nei Paesi occidentali. Un movimento che non deve pensare a prendere le armi o a farsi saltare, ma a «stare al fianco del marito» e ad «aiutare con preghiere e danaro i mujaheddin in stato di estremo bisogno». E nella lettera non manca una rassicurazione a chi dopo le voci diffusesi nel settembre 2008 la pensava morta e sepolta, dilaniata da un missile americano lanciato su un presunto covo di famiglia. «Non preoccupatevi, stiamo bene e i nostri cuori anche se lontani – tranquillizza la signora Zawahiri – sono vicini a voi». Come dire se non ci sentite non preoccupatevi siamo braccati, ma vivi.
Ora bisogna vedere come reagiranno le aspiranti martiri alqaidiste.
Finora i consigli di suo marito non sembrano aver avuto molto successo.
In Irak dal 2003 si sono registrati oltre venti attacchi suicidi messi a segno da kamikaze del gentil sesso.
In Palestina 11 donne non hanno esitato a farsi saltare pur di tirarsi dietro un israeliano.
Ma molte pasionarie sono già pronte a giurare che il «niet» di Zawahiri è soltanto il frutto della sofferenza per la perdita della prima moglie uccisa a Kandahar nel 2001. «Ho assaporato l’amarezza della brutalità americana quando il seno della mia amata moglie è stato schiacciato dal tetto della nostra casa» scriveva nel 2005 il numero due di Al Qaida.
È l’unico atto di dolore che di lui il mondo ricordi.

Fonte: Il Giornale.

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